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Sarzana in movimento: azzardiamo – una città senza slot

L’azzardo, fino agli anni Novanta vietato e calmierato come fenomeno negativo, è stato visto come una potenziale fonte di entrate supplementari per le manovre elettorali dei governi…”

Premessa di Fabrizio Franco, coordinamento Sarzana in movimento:

Nell’articolo di seguito, Giorgio Giannoni stigmatizza uno Stato biscazziere che applica alla generalità dei cittadini una “tassa” ingiusta, perché non dichiarata e indipendente dall’entità delle sostanze dei tartassati. Io aggiungerei che lo fa consapevole di colpire particolarmente le classi più povere (gioco d’azzardo = tassa dei poveri), perché più indifese contro le sirene del facile guadagno. Quindi uno stato biscazziere e classista che non si è fatto scrupolo, in maniera bi-partisan, di creare ulteriori di situazioni di disagio nella parte più disagiata della popolazione. Dalla bellissima relazione di Enrico Malferrari (responsabile Area Dipendenze Ass. Centro Sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia) si evince un barlume di inversione di tendenza nelle “criminali e criminogene “ politiche governative, dal momento che in recenti provvedimenti di legge sono contenute norme di “contenimento” dell’offerta di gioco d’azzardo la cui effettiva applicazione, come lui stesso dice, è però totalmente da verificare. Io credo che sulla verifica della realtà di questa inversione di tendenza vada giocata la partita politica, a livello nazionale, regionale e locale. A quest’ultimo livello, una forza politica vicina ai legittimi interessi popolari non può che farsi carico di tutte le iniziative di contenimento e dissuasione.
La questione centri di assistenza per ludopatici deve essere considerata nel quadro di questa azione politica: i centri di recupero possono e devono essere considerati, al netto di condizioni di monopolio e di modalità di gestione scorretta, come momenti di aggregazione utili ad un processo di reazione collettiva al fenomeno GdA.

Nota di Marco Marchi, coordinamento Sarzana in movimento

In Italia, il gioco d’azzardo, nel solo 2017, ha fatturato 102 miliardi di euro. Riporto da un post di approfondimento, nei cui commenti intervengono senatori e studiosi del settore: “(…) a questo fatturato corrisponda solo una “piccola” per quanto costosissima, in termini sociali, percentuale di soldi che escono dalle tasche di soggetti oggettivamente deboli, il resto è riciclaggio di denaro di provenienza illecita”. Il tema inizia ad essere preso molto in considerazione anche dalla Chiesa. Di questi giorni è un convegno tenutosi presso la Pontificia Università Antonianum: gioco o azzardo? verso un risposta interdisciplinare.

Articolo di Giorgio Giannoni, coordinamento Sarzana in movimento
Ho assistito, ieri pomeriggio, all’incontro organizzato dal Consorzio di Cooperative sociali Cometa sul tema del gioco d’azzardo. La sala della Casa della Salute di Sarzana era gremita, a testimonianza dell’evidente interesse per un tema che, negli ultimi tempi, sta scuotendo parecchie coscienze.

La piaga del gioco d’azzardo (intesa come ludopatia, per l’uso soprattutto delle slot machine ma che include anche il gioco on line o i gratta e vinci) si è andata ad aggiungersi a tutta quella serie di dipendenze patologiche come alcool o sigarette caratterizzate dal fatto, estremamente grave, che la legalizzazione di tale consumo è dovuta sostanzialmente allo Stato e non (o non solo), come per la droga, alla criminalità organizzata.
Le parole del relatore hanno fornito un quadro del problema impressionante, sia in termini di cifre di denaro circolante, sia del numero di persone coinvolte in una dipendenza terribile, nella quale, come in un buco nero, vengono attirate e distrutte salute, famiglia, lavoro.
A seguire Don Martini ha particolarmente esplicitato la necessità di fare “gruppo” contro questa piaga, a prescindere dal colore politico che detiene il potere nella città, riferendosi alle prossime elezioni a Sarzana.
Occorre, sentendo le parole di Don Martini e di esperti presenti, preoccuparsi di chiedere ai governanti che i regolamenti vengano rispettati, che i vigili presidino i luoghi per impedire l’accesso ai minori, che non si fumi o si beva alcool (sempre all’interno dei locali del gioco), che medici e psicologici si adoperino per svolgere al meglio il loro lavoro e che vi sia una presenza ottimale delle cooperative di recupero. Questa come unica miscela di ingredienti per poter recuperare alla vita normale la miriade di persone cadute in preda della dipendenza (questo ultimo punto è stato sottolineato dalla presenza e dagli interventi di persone che, tramite le comunità di recupero, stavano uscendo o erano uscite dal tunnel del gioco).
Un balbettante assessore al sociale (leggi Castagna) ha disperatamente tentato di giustificare l’arrivo dell’ennesima sala da gioco in città, trincerandosi dietro l’impossibilità locale di bloccare ciò che per legge è stato deciso a livello nazionale. L’estemporanea, patetica uscita su un suo recente viaggio a Las Vegas con relativa descrizione dell’hotel dove alloggiava e dell’ambiente del gioco, ha rappresentato con esilarante tempismo il livello dei nostri governanti.

Si potrebbe quindi dire che la comunità possieda gli strumenti per agire e dunque possa e debba intervenire su questo problema.

Tuttavia ho colto una sorta di velo che pare coprire la reale valenza dell’intera questione.
Innanzi tutto una semplice constatazione: nessuno ha posto in evidenza il dato di fatto che il il gioco d’azzardo nella sua nuova veste tecnologica non dovrebbe essere permesso per legge visto i riscontri nefasti che ne derivano. Don Martini ha piuttosto sottolineato con forza la non opportunità di politicizzare il discorso perché l’incontro doveva andare al di là, in un’ottica curativa. Attenzione: curativa e non preventiva.
In altre parole, quello che intendo sottolineare è che il gioco d’azzardo viene “come accettato”, non messo in discussione nella sua totalità, per essere poi inserito in quel contesto di contenimento, caratteristico di tutte le dipendenze (fumo, alcool, ecc.), accolte come il male minore perché la politica bipartisan (e quindi lo Stato) le permette per motivi banalmente economici. E’ l’ennesima riprova di una società che, non potendo essere messa in discussione nella sua interezza per le sue storture e le sue diseguaglianze, accetta bassi compromessi: una relativa piccola quota patologica di disadattati, una maggioranza per lo più insensibile o comunque solo pronta a porre un rimedio tecnico al problema che tuttavia non può e non deve andare al nocciolo della questione. Chiaramente in questo punto si innesta il ruolo della filiera di cura che passa dalle campagne antiqualcosa e dalle scritte sui vari contenitori (anche per le slot e i luoghi di gioco si parla di rendere obbligatorie scritte dissuasive) fino agli operatori sanitari, psicologici e ai centri di recupero. Lo Stato evidentemente deve operare un equilibrio tra l’accettazione (anticostituzionale) di provocare danni alla salute dei propri cittadini e lo stanziamento di misure atte al recupero degli stessi. Una politica schizofrenica nella quale le tecniche usate e gli attori sopracitati trovano la loro ragione di esistenza. Nulla togliendo ovviamente all’impegno e all’abnegazione di molte persone o enti viene spontaneo farsi domande sul loro operato, sugli stanziamenti o sul personale senza voler ad ogni costo demonizzare nessuno. Ciò perché mi pare poco accettabile e scorretto sottolineare gli interventi e le cure senza volersi porre un problema politico di fondo.
In definitiva anche l’incontro di ieri ha sancito questo stato dell’arte, privilegiando le risposte a valle del problema che, oltre a non scalfire la reale valenza della questione, non sempre paiono essere risposte del tutto adeguate.

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