• per riportare la sinistra a Sarzana
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L’intervista di questi giorni all’assessore alla cultura e al turismo (connubio sempre molto discutibile)o le solite banali parole del sindaco, ieri, ci impongono di dire alcune cose sulle mostre d’arte organizzate dai comuni. Come la prossima, a Sarzana, sulla figura di Andy Warhol.
Le parole dell’assessore sono parole a senso unico, indirizzate ad un’unica equazione: mostre d’arte = ritorno turistico, risultato = commercio più fiorente e più soldi che girano a Sarzana.
Non siamo di principio contrari a questa logica ma dobbiamo intenderci sui termini dell’equazione e chiedersi il perché opere d’arte e cultura debbano, sempre e comunque, provenire da fuori per ottenere il risultato sopra evidenziato.
In questi giorni è stato pubblicato da Einaudi un pamphlet di Tommaso Montanari e Vincenzo Trione dal titolo “Contro le mostre”. Un libello illuminante che ci spiega come la corsa alle mostre in Italia sia diventato un business caratterizzato da improvvisazione, diseducazione, inutilità, mediocrità e, in ultima analisi, pericolo per la stessa integrità dei quadri, delle sculture, dei pezzi che vengono febbrilmente spostati da un evento all’altro, da una città all’altra, da un Paese all’altro.
Gli autori le definiscono “mostre blockbuster” perchè allestite con gli stessi ingredienti a rotazione, “Caravaggio e Leonardo, gli impressionisti, Van Gogh, Picasso, Dalí e Warhol. Ne facciamo circa diecimila l’anno, ma dovremmo avere seri dubbi su questa sarabanda. Innanzitutto perché si tratta quasi sempre di puro intrattenimento: a pagamento e di bassa qualità. Quasi mai c’è dietro una ricerca originale, e quasi sempre non c’è nulla da imparare: la verità è che privati senza scrupoli e pubbliche autorità senza un progetto mettono a rischio pezzi unici, spesso di valore altissimo”.
«Quali di queste mostre hanno lasciato qualche traccia? Quali sono state davvero necessarie?», si chiedono Montanari e Trione: «È una logica da cinepanettoni. Un vero imbarbarimento. Quasi una perversione». Di più: «Si inseguono successo di facciata e facili guadagni. Il botteghino è la misura della riuscita o meno di un progetto espositivo».
(Contro le mostre 2017 T. Montanari – V. Trione Einaudi Editore)
Quello che ci colpisce nelle parole di Caprioni è l’assoluta mancanza di una parola verso l’opera d’arte in sé. Grandi numeri, grandi cifre, soddisfazione per il turismo ed un commercio che, a detta dell’assessore, pare essere l’unico ritorno positivo per Sarzana, dimenticando (e non è da lui) come la realtà lavorativa della città sia più eterogenea e diversificata. Capiamo sicuramente che l’impostazione dell’assessore, vista la sua provenienza, è spostata verso una visione molto più pragmatica della quotidianità; tuttavia ci chiediamo perché la bilancia del binomio turismo/cultura debba sempre pendere verso il primo e le sue conseguenze economiche. Ma soprattutto ci chiediamo perché non siamo in grado di mostrare al mondo i tesori, i palazzi, le peculiarità artistiche di Sarzana senza dover, banalmente, ricorrere a grandi nomi o a improbabili mostre che non lasceranno nessun ricordo, né tantomeno educheranno qualcuno a “scoprire”, dopo una effimera visita, il proprio interesse per l’arte. Il vero problema è che Sarzana, dal punto di vista di una cultura propria, reale, del territorio non collima (e non ha mai collimato) con le nuove visioni dei suoi governanti. Lo dimostra l’abbandono in cui versano pregiati esempi del passato come Villa Ollandini e il suo parco, l’Oratorio della Trinità, il Chiostro di San Francesco, l’Ospedale di San Lazzaro o una Cittadella sporca e trascurata (ci chiediamo se poi effettivamente adatta alla mostra di Warhol) o il mancato connubio dell’amministrazione con la curia per poter aprire quotidianamente le chiese e mostrarle a tutti, cittadini e turisti, o la scoperta mai veramente avvenuta che la via Francigena passa per Sarzana, per cui parlare di ostello ora, quando per anni i pellegrini hanno dovuto pagare nelle canoniche o in qualche rifugio di fortuna le loro notti di riposo, fa sorridere. E poi le opere d’arte, gli artisti più disparati di cui non si parla o di un Domenico Fiasella, del quale solo studenti, appassionati e volonterosi portano avanti il ricordo e mostrano, con rigore e competenza l’opera. I grandi nomi del nostro passato sono tanti e misconosciuti e alla fine ci si limita a ricordare il povero Niccolò V, che se vedesse ora la sua Sarzana, comminerebbe la scomunica a un bel po’ di amministratori.
Il problema, alla fine, è tutto qui: è molto più facile entrare nel giro delle “temporanee” standard di grande nome invece di mantenere la città in condizioni culturali, urbanistiche, esistenziali tali da far vivere meglio i residenti e far tornare visitatori e turisti a riscoprirne i pregi e la sua vera identità che affonda le radici in un grande passato che potrebbe (e dovrebbe) preludere ad un grande presente. Come effetto collaterale, per noi cittadini, non sarebbe male, alla faccia del povero Andy.
A proposito, ma chi paga la mostra?

Giorgio Giannoni SARZANA IN MOVIMENTO

P.S.: per tutti coloro che hanno realmente voglia di capire che cosa abbia significato, nella storia dell’arte, la pittura (e non solo) di Andy Warhol:
«Io dipingo in questo modo perché vorrei essere una macchina»
Andy Warhol

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